Tra suggestioni attuali e visioni future

gennaio 2023

Intervista al collettivo damp
a cura di Innesto Spazi di Ricerca

Il 3 dicembre 2022 è stata inaugurata presso Spazio Volta a Bergamo l’installazione site-specific YOHAKU, proposta da collettivo damp in occasione della Call for Curators indetta dalla realtà ospitante e curata dal collettivo innesto | spazi di ricerca

L’opera tratta l’idea di soglia, tematica già indagata con l’accezione di margine e limite in occasione della residenza Impronte presso Raccolta Lercaro a Bologna nel 2021, momento in cui è avvenuto l’incontro  tra il collettivo damp e  il team di Innesto. Yohaku, la soglia, può esprimere la più tenace forma di integrazione, come le più drammatiche forme di esclusione. In riferimento al contesto urbano, se da un lato nella sua accezione di limen ha significato di ingresso, principio; dall’altro è comunemente intesa come un limite, una divisione.

Attraverso questa intervista Innesto intende approfondire la pratica del collettivo damp, tra suggestioni attuali e visioni future.

I: Nelle vostre opere torna spesso il concetto di spazio antropico abitato e abitabile e si collega al tempo, all’idea di effimero e di indeterminatezza. Da cosa nasce questo sguardo sul mondo?

CD: Probabilmente, dai tempi che viviamo. Nel suo Il Radicante, Bourriaud sostiene che in quest’epoca si stia facendo spazio un’estetica del dis-ingorgo, ma non solo nel senso di sposare un certo minimalismo visivo. Assistiamo alla inesorabile fine del mondo per come lo abbiamo esperito finora, e ciò ci permette di immaginare un avvenire che prescinda dalla presenza umana. E quest’assenza ci sembra ricolma di possibilità, come anche l’indistinzione dell’immagine che proiettiamo nelle nostre menti proprio in virtù di questa sua opacità.

I: Le medesime tematiche ritornano nel testo che accompagna YOHAKU e si evince che la soglia è spazio potenziale che porta con sé infinite possibilità del reale, dell’essere e del divenire. Approfondiamo il discorso. Attraverso l’espressione di questi concetti cosa volete stimolare nell’osservatore?

CD: Diceva Lev Šestov: “Il compito della filosofia è quello di insegnare all’umanità a vivere nell’incertezza -a un’umanità terrorizzata dall’incertezza più di ogni altra cosa al mondo-. Il compito della filosofia consiste non nel rassicurare, ma nello sconvolgere”. Pensiamo che anche l’arte possa essere intesa in questi termini. Tuttavia, per quanto riguarda noi, non sentiamo di avere un compito rispetto al fruitore, non intendiamo insegnare nulla e non ci riteniamo così incisivə da poter creare uno sconvolgimento nell’osservatore. Quello che vorremmo è semplicemente esprimere un concetto che troveremmo difficile esprimere in altro modo, e questo concetto non deve essere necessariamente conciliante, assoluto, coerente, e le forme attraverso cui lo esprimiamo non devono essere necessariamente appaganti, coinvolgenti, durature.

I: Siete dunque affini all’idea di natura temporanea delle cose, da cosa scaturisce questo vostro interesse? Come si collega al vostro modo di operare che sovverte i meccanismi dell’arte contemporanea? 

CD: Ci viene in mente un manga di questi anni, Shingeki no kyojin (Attack on Titan), che inizia con un evento piuttosto indicativo: mentre la vita scorre indisturbata all’interno delle mura che raccolgono l’umanità, un gigante distrugge questa soglia e determina così lo sconvolgimento delle esistenze degli umani, adesso esposti “al terrore di essere controllati da loro [i giganti] e l’umiliazione di vivere come uccelli in gabbia”. Si può dire che noi tuttə, in quest’epoca, siamo un po’ come i protagonisti del manga in questione, e la mano del gigante è lì che giunge spietata a spazzare via tutte le nostre certezze, prima fra tutte l’idea di permanenza. È infatti ormai palpabile questa diffusa percezione dell’esistenza -intesa non da un punto di vista meramente individuale- come un qualcosa di assolutamente non garantito, precario, transitorio. Noi pensiamo di essere semplicemente figliə di questa nuova consapevolezza. Senza appigli, scivoliamo dentro questi tempi e proprio questo glissare sulle cose plasma lentamente la nostra ricerca.   

I: Agite tramite una destrutturazione del mondo presente, cogliendone le più piccole particelle ed elementi, e facendone parte delle vostre opere. Tematiche legate alla nostra epoca sono il cardine dei vostri lavori, dalle quali non sfuggono però riferimenti a un passato ed ere lontane. Come giungete ad una sintesi di tutti questi spunti, energie e forme? In che modo il lavoro di gruppo influenza la vostra pratica, sia dal punto di vista teorico, sia nella sua resa formale?

CD: Il fatto di essere in quattro significa avere altrettanti differenti punti di vista, ovvero, altrettanti stimoli concettuali. Questi vengono messi sul piatto per far sì che vengano colti, o meglio, seminati, perché potrebbero sbocciare inaspettatamente in un momento successivo a quello in cui vengono tirati in ballo. E poi è un continuo processo di levigatura, sottrazione, rimessa in discussione. Il che si traduce anche da un punto di vista formale. Da un punto di vista teorico, lavorare in gruppo ci permette di emanciparci dal concetto di espressione del sé e operare su tematiche che prescindono dal vissuto personale.  

I: Le vostre opere sono spesso collocate in luoghi di passaggio e spazi pubblici, dove la società liquido-moderna descritta da Bauman si muove ad una velocità frenetica e non è in grado di mantenere una forma, così come in Yohaku l’elemento dell’acqua cambia stato costantemente. Perché questa scelta e cosa significa per voi. 

CD: Non sappiamo se questa possa essere definita una vera e propria scelta, diciamo che noi capitiamo in luoghi e ai luoghi capitiamo noi. E questi incontri casuali profondono studi, lavori, storie. 

I: Avete artisti o immagini di riferimento a cui vi ispirate? Qualche tematica in particolare che vi stimola e che vorreste approfondire?

CD: Scopriamo quotidianamente esperienze artistiche che ci stimolano e ci ispirano, e possono anche essere in contraddizione tra di loro, anche perché, come si è già detto, il collettivo include una molteplicità di sguardi e interessi. Ultimamente, stiamo sperimentando approfondendo la tematica dell’utilità dell’inutile, ovvero, del ruolo dell’artista all’interno della società della prestazione.  

I: Esiste un luogo o uno spazio pubblico che al momento sta attirando la vostra attenzione e in cui vi piacerebbe progettare un’installazione?

CD: Come per gli artistə e gli spunti, così anche per gli spazi: ce ne sono tantissimi che ci stimolano e ci ispirano, ma questa sovrabbondanza di desideri raramente trova riscontro nella realtà. Volendo quindi fantasticare, ci piacerebbe lavorare su l’Île de Sable, un’isola della Nuova Caledonia che, sebbene sia stata avvistata numerose volte, risulta essere inesistente.